… IO LA CANTO COSÌ!

morea… Io la canto così!

con Antonella Morea
Franco Ponzo, chitarra
Vittorio Cataldi, fisarmonica e violino
regia di Fabio Cocifoglia

Nel suo romanzo Opinioni di un clown Heinrich Boll scrive “Sono un clown e faccio collezione di attimi.” Questa frase si accende tutte le volte che penso a Gabriella Ferri, artista inimitabile e quasi impossibile da raccontare. Se chiedi agli amici di Gabriella Ferri, a chi l’ha conosciuta e a chi  ha lavorato con lei un aggettivo per raccontarla ti rispondono: «Uno solo? S’incazzerebbe!» Dicono di lei: Era un pagliaccio straordinario, un pagliaccio di razza…Veramente l’amica ideale, ti dava tutto… Dove cantava, ecco, lì era il centro del mondo… La disperazione degli autori… Un po’ un pazzariello… Uno sguardo dolce e disperato  che non si può sfuggire… Era la maschera con cui lei nascondeva tutto, tutto quel macello … Molto sensibile, molto ansiosa… Molto severa con se stessa… Impegnativa…  Ogni sua  frase era un urlo lanciato al mondo… Donna bellissima che non aveva paura di imbruttirsi… Eccentrica… Feroce… Bizzosa… Terribile… Anticonformista… Libera… Rivoluzionaria…  Troppo in tutto… Una grande madre, una grande moglie, una grande amante…
(Fabio Cocifoglia)

“Un giorno passeggiavo per le strade di Roma – racconta Antonella Morea – entro in un negozio e vedo lei, Gabriella Ferri, il mio mito da ragazzina. Piena di bracciali, collane, anelli, tutta colorata… come sempre. Ma quasi non la riconoscevo. Sembrava non riuscisse nemmeno a parlare. Com’è possibile? Stavo quasi per andarle incontro, come ad una persona di famiglia, come ad una sorella più grande che non vedi da tanto tempo. E mentre sto per andare mi vedo riflessa in uno specchio del negozio. Ora siamo in tre. La mente è volata a quando mi vestivo tale e quale a lei, capelli rigorosamente biondi con la frangia, trucco da trincea, sacchi di trucco, il rimmel sugli occhi due linee di filo spinato, il fondotinta un campo minato. E voglio vedere quando mi espugnano, sono come Gabriella Ferri, io!, così dicevo. E così mi chiamavano per gioco gli amici la Gabriella Ferri napoletana. Erano per me, quelli, anni duri, di trasformazione, di battaglia. E lì mi sono resa conto che per Gabriella Ferri la battaglia non era ancora finita. Manteneva la posizione eroicamente. Confusa, forse, ma sempre in piedi”.