LE TENDE DI ISADORA

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a cura di Movimento Danza – Gabriella Stazio

È nei salotti di inizio Novecento che la pioniera della modern dance Isadora Duncan inizia ad esibirsi con un linguaggio coreutico rivoluzionario ed innovativo, conquistando poi il pubblico dei teatri di tutto il mondo.
Immaginare quindi di far rivivere il senso di questa esperienza nei salotti napoletani, è molto stimolante.
Agli inizi del ’900, infatti, i teatri europei e statunitensi non erano ancora pronti ad accogliere questa nuova forma d’arte, ancora troppo legati al balletto ed a messe in scena tradizionali, così come, a vedere la programmazione ufficiale dei teatri cittadini, non lo sono ancora oggi i teatri della nostra città.
I salotti delle grandi capitali europee, i circoli artistici furono pronti, invece, ad accogliere questa avventura culturale ed esistenziale, corrente artistica disturbante e sobillatrice. È li che la danza moderna è acclamata, compresa, vissuta per la prima volta fino a diventare un fenomeno artistico e culturale trascinante a cui i teatri dovettero arrendersi.
Proporre dunque il nostro progetto a “Il Teatro cerca casa” ha in sé più significati: ripercorrere il cammino fatto agli inizi del ’900 dalla modern dance, creare un pubblico attento, appassionato e competente sulla contemporaneità dell’arte e della danza, aprire uno spazio critico e di riflessione sull’assenza ingiustificabile nella nostra città di programmazione sulla contemporaneità, danza di ricerca, linguaggi del corpo innovativi.

Il titolo dello spettacolo Le tende di Isadora – titolo provvisorio – rimanda alla scelta rivoluzionaria fatta da Isadora Duncan agli inizi del ’900 di circoscrivere lo spazio scenico in cui danzava nei salotti di Londra, Parigi, San Francisco, con delle semplici tende azzurre.
Questa scelta poi fu portata dalla Duncan dai salotti ai teatri, abbandonando definitivamente le scenografie dipinte proprie del balletto classico. Tutta la coreografia del Novecento si caratterizzerà da quel momento in poi per l’utilizzo di una scena vuota, in cui è il corpo stesso del danzatore a disegnare l’architettura.