LO SCURNUSO

Lo Scurnuso

di Benedetta Cibrario
adattato, diretto e interpretato da Enzo Salomone

“Lo Scurnuso” di Benedetta Cibrario è a pieno titolo una nostra Christmas Carol, la più moderna, la più vicina a noi in tutti i sensi. Nata dalla mano felice della Cibrario, scrittrice fiorentina, figlia e soprattutto nipote di napoletani, che deve alle visite natalizie dai nonni, al loro fervore, ai loro racconti, l’incanto natalizio sospeso tra Barocco e modernità, trasmessole durante le feste a Napoli: «Una delle immagini più vivide impresse nella mia memoria, è mia nonna Laura con un pastore del presepe in mano. Tutto quello che so di Napoli mi arriva da lei. Non si stancava mai di visitarne le chiese, i vicoli, i chiostri, i musei. Amava intensamente la sua città e quanto ha saputo offrire alla civiltà e al mondo intero. L’amava talmente tanto – una passione vera, sempre viva – che non ha mai voluto lasciarla, e quando era costretta ad allontanarsene anche soltanto per brevi periodi sentiva subito, urgente, il desiderio di ritornarvi. L’amore per Napoli e per i pastori lo ha condiviso con mio nonno Tommaso, per più di cinquant’anni. “Lo Scurnuso”, puro frutto di invenzione narrativa come tutti i personaggi e molti luoghi di questo racconto, nasce dal ricordo che conservo di loro, dalla curiosità e dal rispetto che entrambi provavano per ogni forma d’arte, anche la più oscura, dalla loro felicità di essere nati napoletani. E a loro è dedicato».
Nella sua opera, la scrittrice ha voluto magicamente evocare ben tre epoche in cui ambientare la storia de “Lo Scurnuso”, un “pastore” presepiale, che nasce dalla mano felice di un giovane “figuraro”, Sebastiano, detto “purtuallo”, che dopo aver ricevuto i primi rudimenti da un maestro – Tommaso Iannaccone, gravemente malato di un’artrosi deformante -, in una Napoli barocca sospesa tra splendori e miserie, viene mandato a malincuore in una delle botteghe più rinomate del tempo a imparare un’arte di cui diventa eccelso esecutore.
Al colmo della sua capacità musiva, Sebastiano ha il compito doloroso e nobile allo stesso tempo di ritrarre il maestro sul letto di morte, semisdraiato, con una gamba allungata e l’altra piegata, le mani e i piedi contratti in uno spasimo che quasi ne rivela la “vergogna”, lo “scuorno” della sua misera morte.
Nasce “Lo Scurnuso” un pastore di raffinata bellezza.
L’azione poi si sposta negli anni ’40 del ‘900. Per una serie di eventi, la statuetta, dopo oltre un secolo, arriva nelle mani del duca di Albaneta e di un geniale restauratore, Giovanni Scotti, che per guadagnarsi da vivere ha preferito il lavoro sicuro alle poste, ma è un genio del restauro e dell’allestimento presepiale. Nemmeno nel ricco presepe del duca “Lo Scurnuso”, però, trova la sua sede definitiva. Il duca, infatti, lo vende a un cardinale collezionista per ricavare la somma di denaro che permetta la fuga dei suoi cari in America ed evitare loro la guerra.
L’ultimo atto si svolge ai tempi nostri, in costiera sorrentina, in una villa dove un padre separato regala la statuetta alla figlioletta Vicki come regalo di benvenuto.