con Antonello Cossia, voce recitante
Maurizio Capone, percussioni
Il mito si presenta sotto forma di un racconto venuto dalla notte dei tempi e che esisteva già prima che un qualsiasi narratore iniziasse a raccontarlo. In questo senso, il racconto mitico non dipende dall’invenzione personale né dalla fantasia creatrice, ma dalla trasmissione e dalla memoria. Un poema non esiste se non è declamato; il mito è vivo se viene ancora raccontato, di generazione in generazione. Memoria, oralità, tradizione: sono proprio queste le condizioni della sua sopravvivenza.
Il racconto mitico comporta continue varianti, per tutto il tempo in cui una tradizione orale di leggende è viva, cambia: il racconto resta aperto all’innovazione. Ciò che dà corpo e vita al racconto e ne determina la vitalità e l’attualità sono la voce, il corpo, il tono, il ritmo, il gesto di chi assume su di sé la responsabilità, la volontà, la passione della trasmissione e della condivisione. Tutto questo è incarnato nella figura del narratore che si fa interprete del canovaccio mitico che espone.
Chi racconta, chi si espone, decide comunque di innestare nel materiale a cui si relaziona una mistura personale di emozioni, suggestioni, pensieri propri, un portato personale di vissuto, così da attirare l’attenzione degli spettatori di tutte le età e le generazioni. La mia volontà, in questa proposta artistica, si conforma totalmente alla pratica antica: vorrei riuscire a trasmettere queste storie, o quanto meno a fare in modo che nel rito comune celebrato in palcoscenico, si possa recepire il risuonare della sua antica eco.
Attraverso la formula della lettura scenica, due linguaggi — la parola e la musica — si fondono per inseguire l’obbiettivo di arrivare e farsi ascoltare da spettatori di ogni età e senza distinzione. La voce e le percussioni, in un continuo rincorrersi che lascia il passo in alcuni casi ad uno scambio osmotico di senso e di temi, accompagnano una storia che appartiene a tutti, che è radice della nostra civiltà occidentale. Il nostro riferimento è quello dei cantastorie africani, detti “griot”, i quali sotto l’albero centrale del villaggio, allietano la propria comunità con storie del passato, assumendo l’importante responsabilità di tenere viva la memoria storica.
Nella convinzione che sapere cosa si è stati e da dove si viene, può aiutare molto a capire cosa si è e dove si vuole andare nel cammino della vita.