SIGNORINA JULIE

img_8832Signorina Julie

liberamente tratto da August Stindberg
con Carlo Caracciolo e Irene Grasso
regia Mario Gelardi

La Signorina Julie è l’opera più celebrata e perfetta di quel breve periodo, straordinariamente fecondo, tra il 1886 e il 1888, in cui Strindberg si avvicinò al naturalismo teatrale. Nella prefazione all’opera, l’autore presagisce la nascita del teatro da camera: «Forse potrebbe nascere una nuova arte drammatica e il teatro potrebbe tornare almeno ad essere un’istituzione per la ricreazione delle persone colte». L’occhio di Strindberg allora guardava polemico a quel teatro ottocentesco, in cui la rappresentazione passava ormai in secondo piano a vantaggio della mondanità dell’evento. Il teatro aveva bisogno di una profonda rivoluzione che ne scompaginasse il sistema tutto e riavvicinasse lo spettatore al senso dell’opera.
Il Teatro cerca Casa, nasce dalla stessa esigenza di riavvicinamento, che però si origina da un contesto e da motivazioni storicamente e culturalmente differenti. Mi è sembrata un’operazione interessante partire da dove tutto è cominciato, da quell’opera che per prima segna le tappe di un teatro che diventa povero ed essenziale, prima per motivazioni culturali, poi per necessità. Tutto questo sembra estremamente moderno, attuale, così come la trama stessa dell’opera: in una notte di San Giovanni, fra la signorina Julie e il domestico Jean si stabilisce una tensione sessuale intrecciata alla relazione servo-padrone. I personaggi stessi toccano effetti di stupefacente modernità e spezzano dall’interno la cornice naturalistica: «Le mie anime (caratteri) – spiega Strindberg – sono mescolanze di stadi culturali passati e presenti, brani di libri e di giornali, pezzetti d’uomini, lembi di abiti da festa ridotti a stracci, così come le anime stesse sono rattoppate».
Così nasce l’idea di questo adattamento. La vicenda sarà ambientata in una notte d’estate, nella Napoli del primo Novecento. Decontestualizzandola mostreremo l’universalità della vicenda, quella tensione profonda dell’animo che la conduce da ieri all’oggi senza che il senso svanisca nel passaggio dei tempi, che poi è ciò che rende il teatro realmente teatro, in qualsiasi situazione e condizione spazio-temporale.
(Mario Gelardi)